Elena è fuggita a Troia, obbedendo al capriccio femminile di un momento... Agamennone è a capo della spedizione di recupero, perché Elena è moglie di suo fratello Menelao e sorella di sua moglie Clitemestra. La Grecia intera (unita ora per la prima volta) si mobilita per lavare l'onta e correggere l'intollerabile vanità della regina fuggita dal suo dovere, dal suo popolo, dal suo re, da se stessa. Ma "la Grecia intera" non è corretto: si deve dire gli uomini di tutta la Grecia, perché le donne sono rimaste a casa, mentre i loro mariti sono andati a caccia di una donna fuggita da casa. Questa situazione tuttavia non appare tollerabile ad Artemide, figlia di Zeus e sorella di Apollo, che ferma la flotta greca in Aulide con una terribile bonaccia, e fa conoscere la sua pretesa attraverso il vate Calcante: deve venire sacrificata la figlia di Agamennone Ifigenia altrimenti gli Achei non arriveranno mai a Troia. Agamennone allora invia una lettera ingannatoria alla moglie Clitemestra, nella quale le ordina di far arrivare Ifigenia là dove si trova la flotta, perché intende darla in sposa ad Achille (che non ne sa nulla). Il corteo nuziale - che in realtà trasporta non una sposa ma una vittima sacrificale - si mette dunque in marcia. Dopo qualche tempo la madre Clitemestra, la figlia Ifigenia e il fratellino Oreste - l'altra sorella Elettra è rimasta a Micene - arrivano a destinazione insieme al seguito di donne greche, le quali - come subito scopriamo - non desideravano altro che "attraversare il bosco di Artemide" per riempirsi gli occhi di guerra.
IL CORO DELLE DONNE " Eccomi infine al litorale sabbioso di Aulide marina. Ho varcato lo stretto di Euripo, le sue correnti, ho lasciato Calcide, la mia città, che alimenta, vicino alle sue rive, le acque della famosa ninfa Aretusa.
Volevo contemplare l'esercito degli Achei, le navi a remi degli splendidi eroi: gli eroi che il biondo Menelao e il nobile Agamennone - così raccontano i nostri sposi - mandano su mille vascelli in caccia di Elena.
Ho attraversato di slancio il bosco di Artemide luogo di sacrifici, il pudore giovanile mi imporporava le guance, ma volevo gettare uno sguardo sugli scudi, le tende dei Danai, le torme dei cavalli.
Ho scorto seduti vicini i due Aiaci, il figlio di Oileo, il figlio di Telamone, vanto dell'isola di Salamina.
Ho visto Protesilao e Palamede, nipote di Posidone: seduti su sgabelli muovevano lieti variopinte pedine.
E Diomede, che con gioia scagliava il suo disco; accanto a lui stava Merione, germoglio di Ares, stupendo agli occhi dei mortali, e il figlio di Laerte disceso dai monti di Itaca e insieme Nireo, il più bello dei Greci.
Ho visto Achille, veloce come il vento, fulmineo. Lo generò Tetide, lo allevò Chirone; correva armato sulla spiaggia e sui ciottoli, in gara contro una quadriga, mirando a vincerla nel succedersi dei giri. L'auriga, Eumelo, figlio di Ferete, gridava. Ho notato i suoi splendidi destrieri, spronati dal pungolo, muniti di un morso d'oro. I cavalli di centro, accanto al timone, avevano il mantello pezzato di bianco. I cavalli esterni, che nelle svolte bilanciano opposti sforzi, avevano il pelo rossobruno, e le zampe balzane. Accanto ad essi, correva, in armi, il Pelide, sfiorando i bordi del carro, i mozzi delle ruote. Sono venuta qui per saziare i miei occhi di donna: ci sono tante navi, lo spettacolo è indescrivibile, vivo il piacere. Occupano l'ala destra della flotta i guerrieri Mirmidoni di Ftia, con cinquanta navi veloci: le aplustri, a poppa, sono immagini auree di Nereidi, simbolo delle truppe di Achille.
Contigue alle navi Mirmidoni altrettante navi argive, agli ordini del figlio di Mecisteo, cresciuto da suo nonno Talo, e di Stenelo, prole di Capaneo. A fianco sono ancorati i sessanta vascelli condotti dall'Attica dal figlio di Teseo: hanno per emblema la dea Pallade su un cocchio di cavalli alati, segno di buon auspicio per i naviganti.
Ho visto le navi dei Beoti, cinquanta, adornate a poppa di un'effigie: Cadmo con il drago d'oro. Guida l'armata marina Leito, nato dalla Terra. E dalla Focide a capo di cinquanta vascelli locresi è giunto Aiace, figlio di Oileo, lasciando la splendida città di Tronio.
Il figlio di Atreo ha riunito e qui trasportato da Micene ciclopica cento nocchieri. Condivide il comando Adrasto, un amico venuto a sostegno di un amico, perché la Grecia si vendichi della donna fuggita dalla reggia desiderosa di nozze barbare. Non è sfuggito ai miei occhi lo stemma di Nestore Gerenio, signore di Pilo: il fiume Alfeo, in forma di toro.
Sono presenti con dodici navi gli Eniani, agli ordini del re Guneo. Vicino a loro i signori dell'Elide, gli Epei: così vengono chiamati popolarmente. Il comandante è il figlio di Eurito.
Alla testa delle navi Tafie, dai bianchi remi, sta Megete, prole di Fileo, venuto via dalle isole Echinadi pericolose per i naviganti. Aiace, allevato nell'isola di Salamina, occupa il centro, tra l'ala destra e la sinistra: si è ormeggiato accanto alle altre navi con dodici agili battelli.
Ho visto, così come me l'avevano descritta, la flotta greca.
Chi l'assalga con scafi barbari non conoscerà la via del ritorno. È un'armata possente quella che ho visto. Ne avevo sentito parlare, a casa, e ora serberò vivo il ricordo di queste truppe qui radunate"[Euripide- Ifigenia in Aulide]
Atena punisce Medusa di una colpa non sua.
Artemide pretende il sacrificio di una donna innocente.
Ad Atena non interessa una "giusta punizione" per il colpevole che viola Medusa: la dea pretende al contrario che se una donna vuole entrare nel suo tempio di sapienza, essa deve saper fare in modo che quella violenza non arrivi ad attuarsi.
Così Artemide non tollera una donna che in cuor suo desidererebbe saziare di guerra i suoi occhi, ma non osa dirlo, né ha il coraggio di attraversare lo stretto di Euripo per affiancare il suo sposo nella guerra di cui le ha parlato prima di partire lasciandola a casa. La donna che Artemide non tollera attraversa quello stretto e il bosco a lei sacro solo per scappare dal proprio marito e dal proprio dovere (Elena), o per andare a trovarsene uno perché così vuole il padre (Ifigenia), o prendendo a pretesto nozze e mariti altrui, ma nascondendo il suo vero amore: gli scudi e le navi dei Dànai.
Di fronte a questo fuggi-fuggi generale, Artemide ferma tutto, e fa la bonaccia.
La richiesta "feroce e ingiusta" che ne segue induce infine - con l'inganno - le donne greche proprio a questa confessione, che altrimenti non avrebbero mai fatto: non sono qui per fare la damigella, né perché mi mancava il mio sposo lontano e in pericolo. Sono venuta sognando la guerra degli uomini, e amo per questo e mi associo alla caccia che essi scatenano per stanare la donna civetta, capricciosa e ribelle. D'altra parte è la stessa regina Clitemestra che sotto gli occhi di Elettra così viveva la lontananza del marito in guerra:
"Parlerò, dunque, e questo sia l'inizio. Magari, madre, tu avessi avuto migliori sentimenti! Certo, è meritata la fama della bellezza tua e di Elena: ma siete ben sorelle, voi due, frivole e indegne di Castore. Quella fu rapita col suo consenso, e si è persa, tu hai assassinato l'eroe più nobile dell'Ellade, col pretesto che uccidevi il marito per vendicare la figlia: già gli altri non ti conoscono bene come ti conosco io! Tu, prima che fosse compiuto il sacrificio di Ifigenia, anzi non appena tuo marito abbandonò il palazzo, tu davanti allo specchio, ti acconciavi i tuoi riccioli biondi. Una donna che, col marito lontano da casa, si cura troppo della sua bellezza, non merita il nome di pudica. Non c'è bisogno che vada in giro a mostrare un bel volto, se non è in cerca di avventure. Io so che tu, unica fra le donne greche, tu gioivi se la guerra andava bene per i Troiani, ti rattristavi, se gli andava male, perché tu non volevi che Agamennone ritornasse da Troia!" (Euripide - Elettra)
L'ira di Artemide ferma tutti, e sguinzaglia i cani e le donne in una guerra finalmente aperta, a caccia di se stesse. Il vaticinio di Calcante - il veggente che predice la vittoria dei greci sui troiani - era stato a questo riguardo tenebroso e minacciante. Questa è la visione che lo ispira:
"Apparve il re degli uccelli al re delle navi [Agamennone] . Due aquile erano, la nera e la bianca, apparvero presso la reggia dalla parte del braccio che spicca la lancia. Si lanciavano dalle loro aeree dimore, e divoravano una lepre femmina, gonfia del suo peso di figli, ghermita all'ultima corsa"
Questo l'oracolo:
"Verrà giorno che Troia cadrà... ma solo se l'ira di un dio non fulmini prima, e non copra di tenebra l'esercito accampato attorno alla città. Freme la casta Artemide di pietà per quella lepre, e di odio per i cani volanti del padre, carnefici della misera, trepida bestia immolata coi figli prima del parto...quel cibo di aquile è orrore per lei! Benigna tu sei , o bella Artemide, verso i cuccioli di leoni rapaci, e tenera coi piccoli golosi di latte d'ogni bestia selvaggia... ma questo presagio favorevole si compia in bene, anche se per te è una visione d'orrore" [Eschilo - Agamennone] Di fronte alla minacciosa ira della sorella di Apollo, Calcante alza allora una invocazione Invoco il Peana che salva: che la dea non crei intralci sul mare. Brezze ostili, sprechi di tempo, navi inchiodate... o che pretenda un'altra offerta da immolare: un'offerta contro natura... senza spartizione di carni, generatrice di odi domestici, che fa nemica una sposa allo sposo. Una terribile furia resterà nella casa, radicata e sempre pronta a risorgere per vendicare i figli"
Artemide pretende dunque le donne sul campo di battaglia. La visione della guerra tra le mura domestiche è data ad Elettra...
Tu vuoi che questa sia opera mia... No, non dire così. Io non sono la moglie di Agamennone. Il volto io ho della donna di questo morto, ma io sono l'antico, acerrimo demone alastor vendicatore di Atreo, che mi ripago della cena orrenda sacrificando quest'uomo a vendetta dei figli giovinetti! [Eschilo-Agamennone] ... Mentre a Ifigenia è imposto di vedere il volto del padre nelle sue guerre lontane: " E Agammenone immerse il collo nel giogo della necessità, e spirando sacrilegio dal suo mutato cuore e empietà, e profanazione, fu pronto a tutto osare. La follia miserabile, infatti, coi suoi sconci pensieri - madre di crimini - accende i mortali. Ebbe cuore, lui stesso, di fare da boia alla figlia, spinta alla guerra che andava a punire una donna, espiazione per il viaggio navale. Non valsero le preghiere della figlia, né che ella chiamasse il padre per nome, né l'età virginale, a placare i duci bramosi di guerra. E fu il padre stesso che dette gli ordini ai servi del sacrificio, dopo i voti agli dèi. Prona ella era, col volto a terra, caduta sulle sue vesti. Lei prendessero come capra selvatica, lei, con cuore deciso sollevassero sopra l'altare; e perché non gridasse maledizione alla casa volle che la sua bocca, la bella prora del suo bel volto, fosse ancorata e chiusa con la violenza di muti bavagli. Le scivolarono ai piedi le vesti del colore del croco, e dagli occhi smarriti con dardi di pietà feriva ora l'uno ora l'altro dei suoi sacrificatori. E pareva un'immagine dipinta, e voleva parlare... lei che tante volte nelle stanze del padre, ai conviti, aveva fatto udire il suo canto, e tante volte, con quella sua voce di vergine intatta, amorosamente, in onore del padre amato, aveva intonato il peana del buon augurio alla terza libagione. Quello che poi seguì. Io non vidi... né posso dire. Ma non è mai vana la profetica arte di Calcante. Solo a chi ha sofferto, bilancia di giustizia concede Sapienza. Il futuro, dopo accaduto lo puoi conoscere. Prima, segua il suo corso... sarebbe come voler piangere anzitempo. Chiaro apparirà col giorno che nasce". (Eschilo - Agammenone)
La vicenda di Elettra, Ifigenia e del fratello Oreste è dunque allo stesso tempo la storia - voluta dalla mente di Artemide, dea guerriera della caccia e dei cuccioli - di un ricongiungimento tra cuccioli lasciati a se stessi nel bel mezzo di guerre - domestiche e campali - intrise della follia capricciosa di genitori sanguinari, e la storia dell'entrata della donna nel dominio del combattimento. Artemide pretende: chi aspetta a casa non lo faccia per vanità e con rancore, e chi parte in guerra non lo faccia per fuggire. Il cammino di Elettra/Ifigenia è quello di Beatrix e Alicia: morte e resurrezione servono a ricongiungere la coscienza a se stessa e guadagnare un' effettiva identità e una mente capace di giudicare.
Stick/Calcante la introduce alla guerra facendo la volontà di Artemide, ma deve insegnarle qualcosa che solo la dea stessa può ispirarle e farle capire
"Credevo di essere l'allieva migliore. - Non la migliore: solo la più forte. Tu conosci violenza e sofferenza, ma non conosci la via. - Insegnami tu! - Questo è il punto: non posso insegnarti. Non ti voglio più qui. - E' una prova sensei? - No, non è una prova. Va' via".
Chi accetta la guerra della coscienza e della memoria, accetta la tenebra e l'oscuro.
Ifigenia - salvata all'ultimo istante da Artemide - diventerà una sacrificatrice di uomini nel tempio barbaro sacro alla dea del re della Tauride Toante. Oreste viene esiliato. Mentre Elettra sopravvive, non vive. Cancellata nella memoria della madre e della città, essa è abitata da sete di sangue e giustizia, mentre vive esiliata nella sua stessa terra. Il bavaglio che azzittisce Ifigenia è per lei lo straccio delle pulizie, e Il viaggio di tenebra ne fa al tempo stesso una sanguinaria vendicatrice e una donna di casa a servizio.
"Fermo, non poggiarla a terra, ho appena pulito! - Ma perché pulisci sempre?... - Tolgo il mio DNA..."
Ora Elettra ha la scienza di Stick/Calcante, ma non ha terminato l'addestramento. Prevede il futuro, ma non per la resurrezione, bensì per la morte.
"Ma cos'è...yoga? - No si chiama Kimaguri... è molto più utile che imparare a usare un'arma, perché ti fa vedere quello che avverrà prima che avvenga. Concentrati, medita...lasciati andare e vedi il mondo intorno a te... non è facile.- Ma tu quanto ci hai messo per impararlo? - Non ho mai completato l'addestramento. So quanto basta per continuare a restare viva. Però ci sono grandi maestri come Sick, che con il kimaguri resuscitano i morti..."
Eschilo l'ha messa in guardia (Solo a chi ha sofferto, bilancia di giustizia concede Sapienza. Il futuro, dopo accaduto lo puoi conoscere. Prima, segua il suo corso... sarebbe come voler piangere anzitempo) ma Elettra deve ancora capire la Via.
"Dopo accaduto" il Maestro le rivelerà: "Ci sono cose che non si possono insegnare. Solo vivendole è possibile impararle. Sei venuta qui ribollente d'odio; tutto quanto c'era in te di buono era oscurato in te di violenza e oscura tragedia...ma non è la Via... non è questa la nostra Via. - Parli per enigmi vecchio... - Tengo viva l'attenzione dei miei allievi. Sapevo che il tuo cuore era puro... però tu dovevi arrivare a scoprirlo da sola"
E 'questa la ragione della guerra di Elettra e di Ifigenia: saper giudicare di amici e nemici, di guerra e di pace.
ELETTRA Donne, servitù e regola della casa, voi state al mio fianco, scorta per questo rituale scongiuro. Fatevi mie ispiratrici: è il momento! Io proferire? Ma quali parole, mentre spargo queste stille sacre di lutto? Io scandirei voci d'affetto? Come potrei! E come riferire col cuore la supplica del padre? Con questa frase, forse: «Dono al suo diletto uomo, dalla sposa diletta»? Ma chi dona è mia madre! O recito, com'è tradizione nel mondo, la frase di rito: «Ricompensa preziosa concedi a chi ti corona la fossa d'offerte - eccole - e un dono, che ripaghi le colpe! » O piuttosto disprezzo, e silenzio…il modo - esattamente - in cui cadde mio padre. Disperdo l'offerta – lo schizzo assorbito dal suolo… Indietreggio, come quando si sparpaglia la feccia, scagliando a terra la tazza: gli occhi inchiodati lontano… Così ? Mi manca l'impulso, per questo. Non so le parole, per spargere il liquido sulla pietra del padre. Mie donne, dividete con me quest'idea: un pensiero d'odio ci lega, me e voi, nel palazzo. Non chiudete il vostro cuore, per il terrore di un nome: tutti dobbiamo morire… tanto il padrone che chi lo serve. Ora di' pure, se hai piani più adatti del mio. CORO - Devota alla pietra del padre, ti dirò il pensiero che mi viene dal petto. ELETTRA Di', dunque, come ti detta la devozione per la fossa paterna. CORO Versa, ed esclama preghiera solenne per chi gli è leale. ELETTRA A chi della famiglia do questo titolo? CORO Primo, a te stessa. E a chiunque abbia orrore di Egisto. ELETTRA Per me, ma anche per te dirò questa supplica. Vero? CORO A te spetta dirlo! ELETTRA E chi altro iscrivo alla nostra rivolta? CORO ORESTE! Pensa a lui: non importa se è via dalla casa. ELETTRA Avviso felice, questo. Non m'hai consigliato male. CORO E ora gli autori dell'assassinio. Concentrati. ELETTRA Che parola, da dire? Indica, scortami fuori dall'incertezza. CORO Che qualcuno li assalga, spirito o uomo. ELETTRA Un giudice…un giustiziere vuoi dire?… CORO Dillo e basta:che venga restituita la morte. ELETTRA Che preghiera, la mia, agli dèi! É lecita? CORO Compensare col male chi ti odia? Dubiti? ELETTRA Nunzio sovrano di Quelli laggiù e di Quelli lassù..., o Ermes dell'Abisso. Fa' per me annuncio alle Potenze, nel baratro fondo: esaudiscano il mio supplicare, loro, sentinelle al casato paterno. E anche alla Terra che tutti gli esseri mette alla luce, li cresce e alla fine ne raccoglie il turgido boccio. Io spargo questo liquido puro ai defunti. Evoco il padre! Prego: «Sii pietoso con me. E fa' che risplenda, luce viva, il tuo Oreste nel palazzo! Ora sembriamo randagi, svenduti da lei che ci diede la vita e che suo uomo, in cambio di te, Egisto si prese: quello che spartì il tuo assassinio. Io, come povera serva. Oreste è fuggitivo, via da ciò che gli appartiene. Ferve, invece, la coppia, trabocca prepotente di gioia: in mezzo ai frutti delle tue fatiche! Torni Oreste, e un destino gli sia compagno: questo ti prego dal cuore. Odimi, padre. A me concedi equilibrio di mente, molto più saldo di quello materno, e mani più caste. Per noi questo ti chiedo. Contro gli altri, i nemici, io dico: che sorga il tuo giustiziere! Chi diede la morte, sconti il giusto castigo: la morte! Questo io metto al centro del mio buono scongiuro, e contro di quelli pronuncio il mio brutto scongiuro. Per noi, invece, tu scorta dall'abisso la prospera gioia, col cenno degli dèi, della Terra, della Giustizia che vince» (Eschilo- Coefore).
Per Ifigenia - intenta a preparare il sacrificio di ogni greco che capiti presso il suo tempio - il cammino di oscuro e rancore è lo stesso:
"Povero cuore mio, eri mite un tempo verso gli stranieri: provavo compassione, ogni volta che mi capitavano tra le mani dei Greci, versavo lacrime per quelli della mia stirpe. Ma mi ha reso crudele il sogno, l'idea che Oreste non veda più la luce: non troverete certo in me comprensione, voi sbarcati qui, chiunque siate. Ed è vero, amiche, me ne rendo conto: gli infelici, proprio perché patiscono, non nutrono pietà per chi è più infelice di loro. Nessun turbine di Zeus, nessuna nave attraverso le Simplegadi mi ha mai portato qui Elena, causa della mia rovina, e Menelao, perché potessi vendicarmi di loro, contraccambiare con una mia Àulide l'Àulide dove i Danaidi mi agguantarono come un vitello, per scannarmi: e il gran sacerdote era il padre che mi aveva messo al mondo. Purtroppo non riesco a dimenticare quei momenti atroci: quante volte protesi le mani verso il viso di mio padre, mi aggrappai alle sue ginocchia, dicendogli: «Padre, che nozze orrende celebri per me: tu mi uccidi e mia madre e le donne Argive cantano l'imeneo, echeggia musica in tutta la reggia: e io vengo assassinata da te». Lo sposo a me destinato non era Achille, figlio di Peleo, ma il re dei morti: su un lussuoso cocchio mi hai portata a nozze di sangue, a tradimento. Io guardavo da sotto il velo leggero e non strinsi al seno il fratello che ora non è più, non porsi le labbra a mia sorella, per pudore, perché stavo per entrare nella casa di Peleo: rimandai i molti abbracci a dopo, quando sarei ritornata in Argo. Povero Oreste, se davvero sei morto, quali beni paterni hai perduto, che condizione invidiabile... Io accuso i cavilli della dea: se un individuo si è macchiato di sangue, se ha toccato una puerpera o un cadavere, gli preclude gli altari, lo ritiene impuro: ma lei si rallegra di sacrifici umani. Davvero Latona, sposa di Zeus, ha generato una creatura così incapace di capire? " (Ifigenia in Tauride)
Cosa placherà Elettra, come si placherà l'odio di Ifigenia?
Proprio nel momento in cui Ifigenia riconosce che il suo cuore si è indurito nell'odio, e che non ha più nessuna pietà per gli uomini che le vengono inviati per il sacrificio... arriva nel suo tempio barbaro Oreste - suo fratello - per essere sacrificato.
...e Oreste è l'uomo che riesce a ridare cuore e memoria alla sacerdotessa di Artemide irata e insaziabile.
Così, Elettra si placa quando in Oreste incontra di nuovo la bambina che aveva salvato il fratellino dalle mani del perfido Egisto...
Il kimaguri e la meditazione guerriera diventano allora un'altra cosa...con altri fini e altre Vie....
La formula esoterica di resurrezione dei morti non suona poi così enigmatica...
"Piccola guerriera non lasciarmi... non lasciarmi Ebbie...ti avevo appena trovato"...
E Elettra smette di sopravvivere dopo la prima resurrezione, e comincia finalmente a vivere...
"Tu mi hai ridato la vita... E tu l'hai ridata a me..."
"Comunque la seconda vita non è mai uguale alla prima no?"
"Qualche volta è anche un po' meglio!"