Un'altra vita risuona senza posa nella mente.
Viaggiamo nel tempo quando rinunciatari e sognanti sospiriamo "nella prossima vita farò così e così"; o quando con rimpianto, o rabbia, ci giudichiamo non da dopo la fine, ma da prima dell'inizio: "se rinascessi...". Viaggiamo anche nello spazio, quando la nostra mente visita noi stessi dopo la nostra morte, o i nostri morti durante questa vita, e non può non ragionar con loro, come se appunto fossero qui presenti, ma in un posto accanto, come angeli custodi.
Un'altra vita è quella che invisibile riluce nello spazio di profondità nascosto dal volto in apparenza uguale di chi amiamo, quando la gelosia - di amanti, o figli, o genitori... - ci chiama a penetrarlo per il fatto stesso - enigma e paradosso - che lo detestiamo più di ogni altra cosa. Questa nostra esistenza qui e ora è un'altra vita, inconfessata appena dietro il nostro volto. Non desideriamo essere un altro... sappiamo che lo siamo, ma senza la capacità o il coraggio di manifestarlo. Allora un'altra vita sono demoni che cominciano a parlare nelle nostre orecchie, e attraverso i nostri silenzi; e che riconosciamo - gli stessi - quando il viso di chi ci sta di fronte in un istante si trasforma in altro, in un altro mondo troppo incommensurabilmente incomprensibile, per non essere fuggito dentro la più triviale delle banalità.
Il computer che fa come vuole, quando vuole, e l'albero che sussurra silenzioso e non sa nulla delle nostre beghe, sono un'altra vita. E un'altra vita sono le stagioni, le formiche, il topo che si rintana, la scopa dello spazzino all'alba e gli extraterrestri, che sono anche loro sempre lì a guardarci, come i nostri morti, i nostri angeli, i nostri demoni, i nostri amici, i nostri nemici, noi stessi da quel punto indicibile da cui parte a cui ritorna - sempre - ogni parola e sguardo.
La nostra mente vive un'altra vita così come il nostro corpo vive lo spazio in cui si muove. Lo spazio non si vede... quello che si vede sono corpi, figure, luoghi, movimenti, destinazioni, azioni... , eppure un altro luogo è sempre possibile, così come è possibile un'altra destinazione, un'altra forma per quello che vediamo, facciamo e vediamo dire e fare... Dei corpi non vediamo che superfici - ma sappiamo e sentiamo la profondità. Così viviamo dentro una sola vita cercando insieme di spezzarne il cerchio e di essere i motori che la fanno andare.
Quella del "Samsara" è una nozione che la nostra epoca ha smarrito. Il samsara è l’immenso ciclo che unisce ogni vita ad ogni altra vita: interna, esterna, passata, presente, futura, nostra, altrui, ricordata o dimenticata… Platone vi si riferiva nel Fedone -il dialogo dove si racconta del passaggio di Socrate a un'altra vita - come a un palaios logos - una tradizione veneranda
«Cominciamo, dunque, a considerare questo: se nell'Ade vi siano o meno le anime dei morti. Un'antico discorso, di cui ci è rimasto il ricordo, ci dice che laggiù vi sono le anime di coloro che vissero sulla terra, le quali, di nuovo, torneranno quassù, rigenerandosi dai morti. Se è così, se dai defunti nascono i vivi, come non ammettere che le nostre anime vivano nell'al di là? Non è possibile, infatti, che esse rinascano se non esistessero. Basterebbe questo a provare la loro esistenza, dimostrare, cioè, che i vivi non hanno altra origine se non dai morti. Se, invece, non è così, allora è necessario ricorrere a un altro ragionamento.» - «Certamente,» ammise Cebete. «Non esaminare, però, la questione limitandola soltanto agli uomini ma, se vuoi che essa ti sia più comprensibile, estendila anche agli animali e alle piante, insomma a tutto ciò che ha una nascita e vediamo, così, se ciascun essere nasce in questo modo, cioè dal suo contrario (laddove, ovviamente, esiste una tale antitesi), per esempio, il bello dal brutto, che è il suo contrario, il giusto dall'ingiusto e così via di seguito. In conclusione, dobbiamo esaminare se ogni cosa che ha un suo contrario, non nasca necessariamente da esso...»
E' questo immenso ciclo della vita in tutte le sue forme che viene raffigurato nell'immagine scelta per presentare questa rassegna.
Di questo antico discorso - che comunque risuona immediatamente nella nostra mente non appena qualcosa o qualcuno ne evoca la voce - abbiamo tuttavia smarrito addirittura il nome, e dobbiamo dirlo in greco antico, o sanscrito, o in tibetano, che chiama "bardo" l' abissale dimensione del reciproco trasformarsi e richiamarsi di tutto ciò che è vivo. Bar-do significa "tra due", e questo modo di riferirsi al Ciclo della Vita manifesta la natura dimensionale e internamente diveniente, e non solo diacronica, del compenetrarsi delle vite: della nostra vita sempre e comunque con un altra vita, e dunque in tempo reale qui e ora, con tutte le altre vite. E' infatti riduttivo pensare al Ciclo della Vita solo come a un diacronico succedersi di "reincarnazioni". L'appartanenza alla Vita significa invece che ogni vivente, e dunque ogni coscienza, è una porta aperta sullo spazio intero della Trasformazione.
Quest'altra immagine tibetana mostra la stessa ruota della vita ma non come successione, bensì come simultanea presenza di nature animali ed elementi, all'interno di ogni singola personalità e coscienza (si tratta infatti di una raffigurazione astrologica).
Bar-do è "tra due" - e non "uno dopo l'altro"-. Perduto il sentire della sua appartenenza cosmica, l'uomo della nostra attuale civiltà ha corrispettivamente smarrito il sentire della Trasformazione nella sua profondità, e cioè nella sua portata dimensionale. La nostra scienza - e la nostra coscienza - sentono il movimento unicamente come succedersi di giustapposti e puntiformi fotogrammi di quiete. Il tempo è per noi senza profondità, e il suo flusso è solo nel prima-dopo della dia-cronìa, perché la sin-cronia può solo aprire lo spazio bidimensionale di ciò che immediatamente riconosciamo accanto a noi. Il tempo sincronico e simultanteo, lo scorrere di tutto ciò che c'è nella dimensione della sua stessa profondità - così come il sangue pulsa dal centro alla superficie del nostro corpo, e dalla superficie al centro - ed è sempre simultaneamente ovunque - ci è divenuto incomprensibile e ci disorienta in vertigini che non vogliamo sentire.