Il microscopio/telescopio puro apriori di Poincaré, nato dal “ difetto dei nostri sensi ” incapaci di servirsi della sua impossible versione a posteriori, non ha tardato a trasformarsi in un congegno reale nell’immaginazione scatenata di Richard Feynmann (uno dei fisici dell’équipe di Oppenheimer a Los Alamos, Progetto Manhattan 1942-1945 USA) e di conseguenza di tutta l'attuale pedagogia della scienza occidentale (cf.Humpfreys 1999 e Scerri 2000 )), che riempie i nostri testi di disegni rigorosamente paralogici, che proiettano incessantemente dei macro-corpi esterni (sotto forma di sfere di cui un numero-potenza dichiara la piccolezza estrema) tanto all’interno di questi stessi macro-corpi, che nello spazio celeste.
«LA MATERIA È FATTA D’ATOMI - Se, in un cataclisma, ogni nostra conoscenza scientifica dovesse essere distrutta, e una sola frase passasse alle generazioni future, quale affermazione conterrebbe il massimo d’informazione nel minimo di parole ? Io penso che sia l’ipotesi atomica (o il fatto atomico, o qualsiasi altro nome che gli vogliate dare) che tutte le cose sono fatte di atomi – piccole particelle che si muovono in movimento perpetuo, si attirano reciprocamente a piccola distanza le une dalle altre e si respingono quando si vuole farle compenetrare. In questa sola frase vedrete che c'è una quantità enorme di informazioni sul mondo, se gli applicano semplicemente un pochino d' immaginazione e di riflessione [R.Feynmann Le cours de Physique Paris 1999 p.13]
Fig. 1-1.Acqua ingrandita un miliardo di volte.
Per illustrare la potenza dell’ idea atomica, supponete di avere una goccia d’ acqua di un centimetro di lato. Se la guardiamo da molto vicino non vediamo che dell’acqua – d’apparenza omogenea e continua. Anche se ingrandissimo con il miglior microscopio ottico utilizzabile – approssimativamente di 2000 volte – allora la goccia d’acqua sarebbe press’a poco larga 20 metri e avrebbe la dimensione di una grande stanza, e se riguardassimo di nuovo da molto vicino, vedremmo ancora dell’acqua relativamente uniforme – ma qua e là delle piccole cose a forme di pallone da football che nuotano di – qua e di – là. Molto interessante. Sono i parameci … " [Feynmann, R. Ibid.]
Questo stesso microscopio magico appare ormai dappertutto, accanto a A) dei disegni stupefacenti che mostrano le piccole sfere caotiche che vedremmo se potessimo realizzarlo, e B) alla precisazione poincarista che una simile tecnologia è in realtà impossibile da realizzare, anche solo in linea di principio.
Inizieremo ad esporre alcune considerazioni di carattere qualitativo, descrivendo i fenomeni che si manifesterebbero se noi potessimo studiare i corpi mediante un “microscopio ideale” che consentisse di osservare addirittura le molecole e gli atomi stessi che costituiscono la materia. É tuttavia opportuno sottolineare a questo punto che ciò non è in realtà fattibile ; anche con i più moderni microscopi a nostra disposizione, siamo ancora ben lungi dal riuscire ad osservare fenomeni in una scala così piccola; pure con un microscopio che ingrandisse gli oggetti di un miliardo di volte (un tale ingrandimento sarebbe necessario se volessimo esplorare la materia al livello atomico, incontreremmo difficoltà non sormontabili nemmeno in linea di principio (come lo studente apprenderà dai cenni di fisica moderna che gli saranno presentati in seguito), che renderebbero irrealizzabile il nostro desiderio. In realtà, i fenomeni atomici o, come si suoi dire, il mondo microscopico , sono regolati da leggi molto diverse da quelle della meccanica di Newton e dell’elettricità di Maxwell, e di esse non è qui possibile parlare . Questa circostanza è stata menzionata solo affinché lo studente tenga sempre presente che, a seconda del livello a cui si desiderano studiare i fenomeni fisici, occorre far ricorso a particolari modelli, la cui validità non può ritenersi assoluta, ma è legata alla particolare classe di fenomeni in istudio. […] Supponiamo dunque di osservare con il nostro superpotente microscopio una goccia d’acqua immobile su un piano. Resteremmo subito attoniti<, vedendo che in realtà le molecole d’acqua sono in realtà animate da un caotico e frenetico moto a scatti in tutte le direzioni, attraverso la regione di spazio che noi sappiamo essere occupata dalla goccia e con diverse velocità. [De Luca/Ricciardi/Caianiello, Fisica, Milano: 1970].
Dopo aver realizzato il compito impossibile di penetrare all’interno dei macro-corpi fino alle piccolissime microsfere che vi si agitano all’interno, il macro-corpo di provenienza (qui sotto un cubo di sale ) è a sua volta proiettato tra queste stesse micro/macro-sfere, all’interno tanto di se stesso che dei micro/macro corpi che allo stesso tempo - dunque – l’abitano e lo circondano.Una volta compiuta questa incredibile magia, il tutto è proiettato in Cielo, che nello stesso tempo ci abita e ci circonda.
"LA NOSTRA VISIONE DELL'UNIVERSO – Attualmente consideriamo la materia come composta da un pugno di particelle fondamentali ( o elementari) e tutti i corpi, che siano viventi o inerti, come formati ugualmente dalla riunione e dalla disposizione di queste particelle. […] Il sistema solare è un insieme di più corpi enormi, chiamati pianeti, che ruotano attorno ad una stella, chiamata sole. Uno di questi pianeti è la nostra terra, che contiene circa 1O51 atomi. Il sole è composto da circa 1057 atomi".
Fig. 1-5.Struttura cristallina del cloruro di sodio. Gli atomi sono disposti in una rete geometrica regolare che si estende su un volume relativamente grande. Questa struttura si ritrova nell’aspetto esterno del cristallo macroscopico. […] Fig. 1-6. La grande nebulosa di Andromeda, chiamata anche M-31. È la più vicina alle grande galassie normali.
Il sistema solare a sua volta è una piccola parte di un aggregato molto grande di stelle che formano una galassia chiamata la Via Lattea, composta da circa 1011stelle su 1070atomi. […] L’universo conterrebbe approssimativamente 1O20stelle raggruppate in circa 1010 galassie e contenenti un totale di circa 1080 atomi in una regione il cui raggio è dell’ordine di grandezza di 1026m o ancora di 1010". [M.Alonso/E.Finn Physique Générale, Paris 2001]
In questa "visione dell’universo" – che in realtà non è una visione ma, in termini piagettiani, un "disegno sincretico dell’universo", quello stesso processo di solidificazione che tanto in Piaget che in Poincaré è la radice e la struttura fondamentale della formazione di un sistema mentale e scientifico coerente e coesivo, diventa la trovata esplicativa più diffusa e abusata.
Si vedono allora dei PICCOLI CORPI SOLIDI dappertutto, perché tutto è visto come un aggregato di PICCOLI CORPI SOLIDI.
I solidi, i liquidi, i gas … e infine i numeri si presentano sotto questa forma sincretica onnipresente, tanto ai nostri sensi che al nostro Sinn – vale a dire alla nostra capacità globale di cogliere il senso di ciò che si manifesta... perché questo modello fondamentale non si limita a veicolare quadri metaforici (= elementocentrato traslate e dunque imitative della realtà): si tratta all'opposto di un archetipo, e cioè di una immagine fondativa (non imitativa) che impone il suo proprio canone a qualunque realtà si presenti alla nostra mente, fino a dirigere la comprensione di base delle entità matematiche più elementari ed evidenti.
L’ultima immagine qui sopra a destra potrebbe essere detta una "metafora" se la sua forza archetipica non riuscisse ad imporre all’evidenza di un’OPERAZIONE ARITMETICA elementare il tratto del NON-SENSO accanto a quello della "convenzione"
Sulla base di questa definizione di potenza, la scrittura a1 sarebbe PRIVA DI SENSO; si pone allora per convenzione che questa base è uguale ad a, cioè a1 = a.
SPIEGAZIONE – Conosciamo la proprietà delle potenze secondo la quale il quoziente di due potenze di uguale base è una potenza che ha la stessa base, e come esponente la differenza degli esponenti. Cioè : an : am = an-m.. Data questa proprietà, ne segue che an+1:an= a1. Ma an+1: an = (a·a·a·a...·a) : (a·a·a...·a) = a. La convenzione a1è dunque giustificata. [Chiellini/Santoboni, Elementi di Algebra secondo la teoria degli insiemi. 1981]
Quello che lo stesso Poincaré (sacerdote massimo del "non ha alcun senso") non avrebbe mai fatto, è proporre un NON SENSO laddove rifiuta anche lo status di "convenzione", e cioè quando si tratta niente di meno che della seconda applicazione (la prima essendo a0=1) di quella inaccessibile "potenza creatrice del nostro spirito", che genera dal suo seno la serie infinita dei numeri naturali.
Così come per Jules Barthelemy Saint Hylaire bisogna necessariamente un qualche "corpo reale" si muova, anche se Aristotele scrive semplicemente ti [=qualcosa] kineïtai [=si muove] anche per i già citati Marcelo Alonso e M.Fynn,se in una grossa scatola in metallo sotto pressione magnetica "qualcosa si muove" lasciando delle tracce dietro il suo movimento, questo è la "prova dell’esistenza" di un micro-corpo contenuto nel macro-corpo della scatola:
"Fig. 1-1. (A) Tracce di particelle elementari in una camera a bolle di idrogeno liquido di 80 pollici (2m), posta in un forte campo magnetico che obbliga le particelle cariche a seguire delle traiettorie curve. Si analizzano queste tracce e dopo quest’analisi se ne deducono le proprietà delle differenti particelle. Questa fotografia, presa nel 1964, è storica. Essa portò la prima prova dell’esistenza della particella omega meno. Esistenza che era stata predetta precedentemente dalla teoria. (B) Il diagramma indica gli avvenimenti più importanti registrati sulla fotografia. La traccia di Q è il segmento corto verso il basso della figura. Le particelle corrispondenti alle altre tracce sono state egualmente identificate."
In questo stesso modo, Edoardo Amaldi [1937, Italia] riempie il vuoto che separa lo “stato d’elettrizzazione” di un macro-corpo in movimento (come un pendolo oscillante) e il movimento di una "carica elettrica puntiforme posta nel vuoto" grazie ad un disegno alla Feynmann :
"L’ambra, l’ebanite il vetro etc., quando vengono strofinati con un panno di lana, acquistano la proprietà di attrarre corpi leggeri come per esempio pezzetti di carta. Per rendere tale attrazione più comodamente osservabile ci si può servire di una pallina molto leggera, per esempio di sambuco, appesa ad un filo di seta [figura a sinistra]. Una bacchetta di ebanite, ambra, vetro, ecc., che abbia così acquistato la proprietà di attrarre corpi leggeri, si dice carica di elettricità o elettrizzata
.Per riconoscere lo stato di elettrizzazione di un corpo, di usa assai spesso, invece del pendolino descritto nel paragrafo precedente, uno strumento assai semplice, detto elettroscopio a foglie. […] Se un corpo carico di elettricità viene portato a contatto dell’estremità superiore dell’asticciola dell’elettroscopio, le due foglioline vengono caricate di elettricità dello stesso segno e si respingono. [Elettroscopio a foglie munito di una scala che permette di confrontare le deviazioni subite dalle foglie quando vengono comunicate cariche diverse al loro supporto]
Ci proponiamo ora di far vedere che lo stato di elettrizzazione di un corpo puo' venire attribuito ad una carica elettrica o quantità di elettricità, la quale soddisfa alle condizioni necessarie e sufficienti per essere trattata come nuova grandezza fisica. Tali condizioni, foggiate sostanzialmente per analogia con quelle poste da Euclide a base della teoria della misura dei segmenti, sono le seguenti:
I- Si deve fissare un criterio in base al quale sia possibile verificare sperimentalmente se due cariche elettriche sono uguali o disuguali, e in questo secondo caso quale sia il senso della disuguaglianza.
II- Si deve disporre di un metodo che permetta di dividere in parti uguali, mediante operazioni fisicamente effettuabili, una carica elettrica.
III- Si deve scegliere una volta per tutte una carica elettrica, riproducibile esattamente mediante operazioni fisicamente effettuabili, quale campione o unità di misura.In tal modo diventa possibile far corrispondere ad una qualsiasi carica elettrica un numero, determinabile mediante operazioni fisicamente effettuabili, che esprime la misura della carica rispetto all’unità di misura adottata.
Consideriamo ora due conduttori, per fissare le idee due sfere di metallo , ciascuna sorretta da un sostegno isolante, per esempio un filo di seta, e chiamiamole rispettivamente A e B. elementocentratoamo di eseguire il seguente esperimento:
1- Si carichi la sfera A con un pezzo di ebanite strofinato. Per verificare il suo stato di elettrizzazione portiamola a contatto dell’elettroscopio; indichiamo con a il numero di divisioni in cui deviano le foglioline
2- Dopo aver verificato che la sfera B non è carica mettiamola a contatto per un momento con la sfera A
3- Portiamo la sfera B di nuovo a contatto con l’ellettroscopio.
Questo devierà di b divisioni, indicando così che la sfera B si è caricata per contatto
4- d) Portiamo la sfera A a contatto con l’elettroscopio: osserviamo che esso devia di c divisioni e che c è minore del numero di a divisioni osservato prima che A venisse a contatto con B Questa esperienza si interpreta dicendo che la carica elettrica inizialmente posseduta da dalla sfera A si è distribuita tra le sfere A e B nell’istante in cui queste sono entrate in contatto.
5- La carica elettrica incognita Q, si divide esattamente in due quando la sfera A è portata a contatto con la sfera B identica ad A inizialmente scarica: Dopo il contatto ciascuna delle due sfere ha una carica uguale a Q/2
6- La legge quantitativa della forza con cui due corpi carichi di elettricità si attraggono oppure si respingono è la Legge di Coulomb. […] Nella Legge di Coulomb figura un nuovo ente fisico: la carica elettrica, per il quale dobbiamo fissare una unità di misura.
7- La legge di Coulomb ci permette di calcolare la forza che si esercita fra due cariche puntiformi poste nel vuoto ad una distanza una dall'altra." [Edoardo Amaldi, Fisica generale , Bologna 1937]
Una sinossi:
In 4- un "metodo euclideo di misura" diventa una "carica elettrica" che è subito disegnata sotto forma di sei piccole croci all’interno della sfera da misurare quanto al suo stato di elettrizzazione.
In 5- "La carica elettrica si divide" e le piccole croci si distribuiscono.
In 6- Le piccole croci acquisiscono lo statuto ontologico di una "nuova entità fisica".
In 7- La "nuova entità fisica" rimpiazza la sfera di metallo nella quale l’abbiamo disegnata, per divenire un "corpo puntiforme" posto nel vuoto.
… e infine ecco qui sotto l’aspetto (in computer/ grafica) del nuovo-nato della nostra fisica rigorosamente e soprattutto esplicitamente paralogica, convenzionale, e "PRIVA DI SENSO".
Con la stessa facilità e "comodità" espressiva e logica cha disegna piccoli micro-corpi solidi all’interno dei macrocorpi (sfere di metallo) che saranno disegnati a loro volta tra i micro corpi che li abitano, e che fa poi apparire questi stessi micro-macro corpi solidi e "puntiformi" "nel vuoto" - laddove non ci sarebbe che da riportare l'avvenuta la misura euclidea di una meghetos (grandezza) - o all'interno di un diagramma di Eulero/Venn - laddove non ci sarebbero che dei simboli numerici … con questa stessa "facilità" e "comodità", questi stessi micro-macro corpi solidi si dissolvono, evaporano, svaniscono... nello spazio incomprensibile dei "vettori", dove tutt'a un tratto un'automobile che gira in tondo diventa sotto i nostri occhi attoniti una... velocità che gira in tondo.
"1- Rappresentazione del vettore: velocità di una vettura che fa una curva con un movimento uniforme.
2- Rappresentazione dei vettori-velocità di un punto materiale che si sposta con un movimento circolare uniforme.
3- Questi stessi vettori velocità sono qui rappresentati con l’origine in comune : le punte delle frecce sono poste su una circonferenza di raggio v.
4- Vettori velocità ad intervalli t= T/12
5- Gli stessi vettori sono rappresentati con la stessa origine.
6- I vettori sono ora rappresentati ad intervalli di tempo t= T/24. Si osserva che al limite per t che tende a zero, si dispone perpendicolarmente a v e la misura dell’arco che sottende il vettore si può confondere con il modulo.
7- Velocità e accelerazione in un movimento circolare uniforme.
Concludiamo così che nel movimento circolare uniforme è presente un’accelerazione istantanea diretta perpendicolarmente alla velocità e orientata verso il centro, chiamata per questa ragione accelerazione centripeta.[Caforio/Ferilli- Dalla meccanica alla costituzione della materia, Firenze 1997]"
La vettura che si appena dissolta nel vuoto dello spazio vettoriale, si risolidifica nel testo (e nell’immagine) che segue, sotto forma di un elettrone che si... ridissolve in Werner Heisenberg [1933-45, Kaiser Wilhelm Istituto di Berlino] in una NUVOLA … di PROBABILITÀ.
Con lo stesso movimento logico di Feynman/Amaldi &C., l’autore del testo qui sotto ci propone la foto tecnicamente impossibile di un sistema di micro-corpi solidi che evaporano in un gas puramente matematico, naturalmente composto da dei piccoli solidi che non hanno niente di gassoso né di matematico.
Siete fan di formula 1, e più particolarmente di Schumacher. Nel momento del Gran Premio di Francia, riservato un posto in tribuna di fronte alla grande linea destra, dove le vetture raggiungono quasi i 300km/h. Avete certo evidentemente portato con voi la vostra macchina fotografica, macchina che vi permette di scegliere manualmente il tempo di posa.[…] Regolate il tempo di posa su un valore molto breve, 1/1000° di secondi per esempio. La Ferrari arriva, appoggiate e hop, sviluppate la foto. Questa volta qui, ottenete una Ferrari estremamente netta, posta con precisione sulla pista. Conoscete dunque la sua posizione con estrema precisione. Al contrario, siete nell’impossibilità di conoscere il suo movimento. È immobile o avanza ? Unicamente guardando la foto, non potete assolutamente saperlo. E se avanza, in quale direzione? Gira ? A che velocità ? Vi è impossibile attraverso il solo studio della foto, rispondere. Così, con la vostra macchina fotografica, non potete conoscere insieme la posizione e il movimento della vettura. […] E allora? Basta prendere 2 macchine fotografiche, con 2 tempi di posa differenti, mi direte. Ebbene... è un po’ il limite di questo esempio : non avete il diritto di prendere 2 macchine fotografiche. Il principio d’incertezza, è simile : o conoscete con precisione la posizione della vostra particella, o conoscete il suo movimento. Ma non potrete mai conoscere esattamente i 2. Da ciò, nessuna previsione possibile, qualunque siano le tecniche utilizzate. Se avete compreso questo, avete colto la base della fisica quantica. In fisica quantica, non si parla dunque che in termini di probabilità d’esistenza. E gli elettroni non si situano più su un’orbita, ma formano una nuvola di probabilità. Più la nuvola è densa, più avete probabilità di trovarvi un elettrone. E se anche lo trovate, siete incapaci di prevedere dove sarà l’istante dopo."[ www.astrosurf.com/trousnoirs/quanta.html]
Nuvola elettronica dell’atomo d’idrogeno. La probabilità di trovare l’elettrone in una zona dello spazio rappresentata nel livello del grigio. Più ci si allontana dal nocciolo, più la probabilità diviene debole, ma non nulla. [© CNRS - R. Bichac http://www.cnrs.fr/sciencespourtous/abecedaire/pages/heisenberg.htm]
Tutto ciò che precede ci dà l’evidenza sperimentale della presenza agente di ciò che chiamo un campo di precomprensione archetipica, che dirige tanto il modo in cui la nostra epoca genera la sua comprensione originaria degli oggetti della scienza, che il modo in cui – di conseguenza – ci si organizza per trasmetterla alle nuove generazioni.
Con campo di precomprensione archetipica intendo i più profondi riferimenti interpretativi che un’epoca si dà per assiomatizzare il senso di tutto ciò che esiste, a partire dalle più inevitabili evidenze che la nostra mente conosca, cioè a partire le evidenze apriori della matematica.
In effetti, se il profilo in negativo di questa forza profonda che dirige il nostro sentimento delle cose è certamente ben visibile nell’insieme dei paralogismi della Fisica che ho preso in esame fino a qui, la sua positiva presenza si manifesta con chiarezza nel modo in cui i matematici parlano dei loro oggetti, decidendo quali hanno senso e quali no, come si è visto nel caso dell'operazione di elevamento a potenza.
Il confronto con un’evidenza matematica tanto assoluta quanto incomprensibile dovrebbe rimbalzare lo scienziato sul senso che attribuisce agli oggetti sui quali opera, e delle operazioni che mette in atto, ma non è questo che avviene. Al contrario, lo stesso scienziato che ripete incessantemente che i nostri "termini indefiniti" ("insieme", "numero"…) sono "vaghi" e "nebulosi", o troppo "filosofici" (cf.qui sotto) perché non dotati di un’identità operatoria abbastanza solida, una volta giunto al cospetto di una verità operatoria granitica e indiscutibile come a1= a, decide che è essa – l’operazione stessa! – ad essere priva di senso, e non piuttosto la nostra vaga e nebulosa comprensione del senso di quello che stiamo facendo.
Questo simultaneo rifiuto del senso da un lato di un "termine indefinito" cui immediatamente non corrisponda una ben determinata a univoca struttura operatoria, e dall'altro di una struttura operatoria immediatamente valida, ma indubbiamente opaca quanto al suo significato, distilla sperimentalmente la presenza attiva, nel matematico che così si esprime, di un campo mentale di precomprensione che originariamente impone la sua regola a tutto ciò si presenta sulla superficie della scienza.
Ora a questo campo archetipico di precomprensione corrisponde una certa atmosfera culturale internamente bi-polare: un composto potenzialmente letale di canzonatura/scherzo/vanità e tragedia/angoscia/odio.
Durante gli anni '60/'80, un’importante "onda didattica" ha deciso la potente penetrazione della "matematica moderna" nell’insegnamento occidentale del primo/secondo ciclo. Da allora, il linguaggio, i metodi e le operazioni dei matematici cantor/russelliani, non hanno solo costituito dei nuovi contenuti da apprendere, ma hanno anche modellato le rappresentazioni immaginative fondamentali per l’insegnamento della matematica in generale, e dunque anche dell’aritmetica di base.
Purtoppo, un esito eminente di questa traduzione didattica degli strumenti formali e delle concezioni teoriche più astratte che la matematica abbia conosciuto, è stato questo tipo di rappresentazione :
Si tratta dell’immagine dell’addizione aritmetica 3+4 = 7 "secondo la teoria degli insiemi" , nella quale i cerchi A e B stanno a rappresentare i due "insiemi" 3 e 4 unificati dall’operazione di unione.
Come si vede, in questo tipo di traduzione didattico/immaginativa, gli "oggetti ben distinti" [ wohlverschiedene Objecten] che secondo Cantor[1] la nostra facoltà di pensare [Denkensvermögen] attivamente riunisce in un sol tutto, diventano degli aggregati di oggetti concreti già logicamente omogenei e già preliminarmente riuniti in un perimetro geometrico comune. I tre cerchi euclidei A, B e C stanno a rappresentare la traduzione pedagogica allo stesso tempo dei diagrammi che John Venn aveva introdotto per realizzare la sua «very important departure from the eulerian conception» [2] che mirava alle classi piuttosto che alle proposizioni, e di quegli "spazi" che Eulero considerava degli "aiuti meravigliosi" [per] "esprimere visibilmente alla vista" [quelle] "operazioni dell’anima" che "si chiamano proposizioni"[3] .
È chiaro che interpretare in questo modo - quello dell'intero/pallina e del frazionario/torta - qualunque oggetto e gesto matematico, significa trasformare la stringa operatoria per niente "nebulosa" a0= 1 in un abbagliante non-senso. Viene allora in soccorso la voce apparentemente poincarista della "comodità". Apparentemente, perché l’intenzione didattica e pedagogica di Poincaré ancorava comunque l'idea della "comodità" alla conoscenza storica, e alla ricostruzione genetica di come la matematica era giunta a certi risultati simbolici[4]. Al contrario, la totalità degli autori che utilizzano la "comodità" e l’idea di una genesi sperimentale, non lo fanno ormai che per addomesticare lo studente perplesso, e passare oltre:
"Qualche volta risulta comodo rappresentare graficamente un insieme. Due sono le rappresentazioni più usate. Mediante regioni piane limitate da curve non intrecciate dette diagrammi di Eulero. Questa rappresentazione è molto efficace ed espressiva quando non è necessario specificare la natura degli elementi dell’insieme, ma solo affermarne l’esistenza; talvolta, se l’insieme è finito, dentro il diagramma si segnano dei punti o delle crocette che ne rappresentano gli elementi". [Chiellini/Santoboni,Elementi di Algebra secondo la teoria degli insiemi ,Torino1980] [5]
Ora questa reificante traduzione didattica della teoria degli insiemi e della topologia del pensiero logico, ha trovato uno scudo protettivo impenetrabile nell’attitudine insieme di canzonatura e d’ ostile avversione che una massa di matematici, scienziati e epistemologi della seconda metà del XX° secolo ha assunto nei confronti di qualunque forma di questionamento direttamente intra-matematico sulla natura degli oggetti indagati, fino a considerare le parole di Georg Cantor in persona come troppo "filosofiche" cioè inutili e senza interesse. La conseguenza ne è stata che l'idea poincarista della "comodità" s’è trasformata da un lato nel dadaismo fayerabendiano del "tutto fa brodo", e dall'altra in un nichilismo epistemologico/culturale sfrenato e privo di ritegno (Foucault & C.):
"Cantor dà una definizione del concetto di insieme che può dirsi euclidea, cioè una definizione che troverebbe meglio posto in un dizionario linguistico o in un libro di filosofia, piuttosto che in un trattato di matematica. La critica moderna è riuscita, in svariate teorie matematiche, a formulare le definizioni di tutti gli enti che intervengono in esse: i [suoi] postulati non intendono esprimere, in una teoria assiomatizzata, che delle pure e semplici convenzioni atte, da sè sole, a definire esaurientemente le idee primitive. [...] I tentativi di presentare l'idea di insieme e naturalmente anche quella di elemento di un insieme, come idee primitive appaiono oggi, malgrado sforzi considerevoli di acutezza e di acuità critiche, anche non del tutto conclusi, o almeno non conclusi con un accordo di maggioranza da parte dei più insigni specialisti. Ora, proprio per questo ci concederemo la libertà di ampliare l'idea di insieme" [T.Viola Introduzione alla teoria degli insiemi, Torino: Boringhieri 1974]»
Quando il disprezzo non raggiunge queste vette, l’attitudine rimane quella di un disimpegno radicale, dove l’"approccio informale" coincide con una canzonatura tanto leggera che definitiva quanto al suo effetto di dissuasione, come è il caso di M. Hernstein :
"L’utilizzazione dell’aggettivo "astratto" è del tutto soggettiva. Ciò che è astratto per qualcuno, può essere molto concreto per qualcun altro. In rapporto a ciò che si fa oggi in algebra, la nostra esposizione può essere definita "astratta, ma non troppo", mentre quelli che hanno seguito un corso di calcolo, e vedono queste cose per la prima volta, possiamo dire che è "abbastanza astratta". […] Non daremo una definizione formale di “insieme” […] Per quelli il cui gusto tende verso un linguaggio più formale e astratto, diremo che quella di "insieme" è una nozione primitiva e indefinita [I.N.Herstein, Topics in Algebra, Roma: Editori Riuniti, 1982 »]»
Così parlava Israel N. Hernstein a Cornelle nel 1964, a proposito del suo criterio d’astrazione in Algebra, mentre nel 1963 l’immagine del fisico proposta dal Californian Institut of Technology aveva l’aspetto della celebre versione "bongo player" particolarmente amata e diffusa da Richard Feynmann in persona, e dai suoi colleghi:
Per contro, dal lato dell’epistemologia, la voce di Brekeley raggiungeva la sua vetta più luminosa con il "tutto fa brodo" – anything goes – della farsa dadaista di Paul Feyerabend :
Mentre l’anarchico politico o religioso vogliono abolire una certa forma di vita, l’anarchico epistemologico può desiderare di difenderla, poiché non ha alcun sentimento eterno di fedeltà o d’avversione verso alcuna istituzione o ideologia. Come il dadaista, al quale egli somiglia ben più di quanto non somigli all’anarchico politico, non soltanto non ha un programma, ma è contro ogni programma, anche se all’occorrenza sarà il più infiammato dei difensori dello status quo, o dei suoi nemici. "Per essere dei veri dadaisti bisogna essere anti-dadaisti". I suoi obiettivi restano stabili, o cambiano solo in conseguenza di un ragionamento, o della noia, o di un’esperienza di conversione, o dal desiderio di impressionare la propria amante etc. [P.Feyerabend, Contro il Metodo]
Nella polarità opposta di uno stessa misologia, la risata Yankee diventa l'oscuro scherno di una delle voci europee più ascoltate di questa crociata contro il rigore metodico dell’espressione. A Parigi VIII, il romanticismo delle "due eternità di morte" di Poincaré[4] prende negli in Michel Foucault l’aspetto tenebroso di un unitario e coerente abisso di odio, mentre l'inchiesta genetico/epistemologica che animava l'"opportunismo" poincarista si trasforma in oscura rabbia genealogica:
"Ora, se il genealogista si prende cura di ascoltare la storia piuttosto che di aggiungere fede alla metafisica, che impara ? Che dietro le cose c’è "tutt’altra cosa" : niente affatto il loro segreto essenziale e senza data, ma il segreto che esse sono senza essenza, o che la loro essenza fu costruita pezzo a pezzo a partire da figure che gli erano estranee. La Ragione ? Ma essa è nata da un modo completamente "ragionevole" – del caso. L’attaccamento alla verità e al rigore dei metodi scientifici ? Della passione dei sapienti, del loro odio reciproco, delle loro discussioni fanatiche e sempre replicate, del bisogno di averla vinta" [M.Foucault, Nietzsche, la généalogie, l’histoire en Hommage à J. Hippolite PUF 1971 p.148]
Le ultime due affermazioni di Foucault sono semplicemente vanesie - diciamo dadaismo in stile noir - e non possono che tacere davanti al semplice fenomeno della matematica, così come afferma Immanuel Kant a proposito dei limiti dello scetticismo humeano :
"Secondo questo modo di ragionare [di Hume], tutto ciò che chiamiamo metafisica condurrebbe alla pura illusione di un preteso coglimento razionale di ciò che è in realtà soltanto preso in prestito dall’esperienza, e ha preso dall’abitudine l’apparenza della necessità. Hume non sarebbe mai giunto a questa affermazione, distruttrice di ogni filosofia pura, se avesse avuto davanti agli occhi il nostro problema nella sua generalità, perché avrebbe allora visto che, secondo il argomento, non poteva più darsi una matematica pura, pecrhé questa contiene certamente delle proposizioni sintetiche apriori, e Hume aveva abbastanza intelligenza per guardarsi da una tale affermazione" [Critica della Ragion Pura]
L’idea che la dimostrazione che il quadrato dell’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei lati si fonda sull’odio di Pitagora per i suoi colleghi o sul suo desiderio di impressionare la sua amante, non può essere interessante che per lo storico della moda e della cultura, che devono domandarsi cosa abbia potuto produrre una tale dose di ostilità alle evidenze della scienza : perché come abbiamo visto, ciò che l’epistemologo indifferente ad ogni responsabilità direttamente scientifica (e dunque ad ogni responsabilità tout court) esprime in un modo così infiammato, si traduce nei testi della "scienza normale" nell'assenza assoluta di ogni preoccupazione di rigore logico/metafisico del discorso.
Le petit Marcel qui se reveille au milieu de la nuit plus dénué que l’homme des cavernes" réalise selon S.Deahene son vrai destin philogénétique:
A l’école élémentaire, nos enfants apprennent les mathématiques modernes avec un cerveau initialement destiné à la survie dans la savane africaine. […] Notre cerveau ne contient pas d’unité arithmétique génétiquement programmée pour les nombres et les mathématiques. […] Les objets culturels que sont les mots et les nombres viennent donc parasiter des systèmes biologiques au destin initial différent. Parfois, comme dans le cas de la lecture des mots, le parasite est tellement envahissant qu’il remplace purement et simplement la fonction antérieure. […] Si mon hypothèse de travail est juste, le cerveau humain possède un mécanisme d’appréhension des quantité numériques, hérité du monde animal, et qui guide son apprentissage des mathématiques.[Dehaene,S.(1997b), p. 46, et 10-11 (les mots en italique sont à moi)]
Un mécanisme ne peur guider nullepart, car un mécanisme se borne à tourner. Quant à la délimitation effective du phénomène, à l'intérieur du fait d’un enfant qui apprend les additions à l’école élémentaire nous ne trouvons que ce même fait, qui ne nous dit rien sur le destin de l’enfant en question, en dehors de tout événement qui ne se soit déjà produit. Le fait que cet enfant apprenne à lire en ti ne signifie donc aucunement qu’en un quelconque tj précedent à ti ses parties matérielles y étaient destinées.
Du point de vue ontogénétique donc , nous savons uniquement que pendant cette période cet enfant est à l’école, et qu’il y apprend à reconnaître et à enchaîner des objets graphiques en en faisant des symboles/opérations, et de même ce simple fait ne nous dit aucunement que le "destin initial" de son cerveau était l’école, de même le fait que cet enfant se trouvait, en tn<0 dans le ventre de sa mère ne signifie aucunement que son cerveau était "destiné" à la placenta.
A fortiori, du point de vue phylogénétique il ne faut pas confondre le fait de la savane (qui ne concerne que les singes présent et certains hominides du passé) avec le destin de la savane : les ancêtres de cet élève de CP1 était des sauvages, mais : 1) ils ne font pas partie de notre phénomène ; 2) nous savons uniquement qu’ils étaient – avec leur cerveau – dans la savane, et non pas que la savane était le destin de ce même cerveau. La consistance évolutionniste/évolutive du cerveau de notre enfant en CP1 est une acquisition fondamentale, et il faut donc en garder la pureté heuristique, en évitant soigneusement de faire coïncider son affirmation générale avec celle d’une sous-théorie, même si très diffusée, comme l’est la théorie de Darwin :
[Le cerveau] représente l’aboutissement d’une encore plus longue évolution biologique gouvernée par les principes de la sélection darwinienne …
Que les principes darwiniens de l’évolution gouvernent la phylogenèse de notre cerveau, cela n’est qu’une sous-théorie engendrée par la perspective évolutionniste, et le fait que cette même sous-théorie exclue catégoriquement le destin initial dont Dehaene parle, nous signale le danger qui menace l’enthousiasme engendré par cette dimension interdisciplinaire de la recherche, qui met les neurosciences et les sciences exactes devant le fait de l’ indéniable provenance génétique tant du cerveau du mathématicien, que de son mental, que des signes qu’il utilise pour éduquer tant l’un que l’autre. Notre enfant est à l’école, il s’applique, il étudie, et finalement il apprend à lire et à faire des additions : il n’a jamais dû survivre dans la savane, et nous ne savons rigoureusement rien de son destin, ni du destin de son cerveau.
Le petit Marcel qui se reveille au milieu de la nuit et entend "le sifflement des trains qui, plus ou moins éloigné, comme le chant d’un oiseau dans une forêt, relevant les distances, me décrivait l’étendue de la campagne déserte" a à faire, selon Dehaene, à ses "circonvolution cérébrales" et non pas au "fil des heures, l’ordre des années et des mondes" qu'il tient en cercle autour de lui"
Notre singularité, pensez- vous peut être, réside dans la faculté d’utiliser les symboles arbitraires comme les mots ou les chiffres arabes. Nos symboles sont des éléments discrets et susceptibles d’une manipulation purement formelle. […] Contrairement aux autres espèces animales, l’invention des symboles numériques que sont les chiffres arabes nous aurait libérés de l’emprise de la représentation quantitative des nombres. Ces intuitions sont pourtant trompeuses. Car si les symboles numériques nous ouvrent effectivement la voie à une arithmétique plus rigoureuse, il ne sont pas pour autant détachés des racines approximatives de l’intuition numérique . Bien au contraire, chaque fois que nous sommes confrontés à un nombre, notre cerveau ne peut s’empêcher de le traiter comme une quantité continue, et de le représenter mentalement avec une précision décroissante, presque comme le feraient un rat ou un chimpanzé. Cette traduction des symboles en quantités impose un coût important et mesurable à la vitesse de nos opérations mentales. D’où vient donc cet EFFET DE DISTANCE ? En apparence, les chiffres 4 et 5 ne se ressemblent pas plus que les chiffres 1 et 5. La difficulté de décider si 4 est plus petit ou plus grand que 5 n’a donc rien à voir avec un quelconque problème de reconnaissance visuelle du chiffre 4. Visiblement, le cerveau ne s’arrête pas à la forme des chiffres […] Il y a quelque part dans nos circonvolutions cérébrales une représentation des nombres sous forme de quantité continues, similaire à celle que possèdent les animaux, et c’est cette représentation quantitative que nous nous empressons de réactiver dès que nous voyons un chiffre ou un nom de nombre » (85) […] La seule explication concevable c’est que LE CERVEAU appréhende le nombre de deux chiffres dans son intégralité et le transforme en un quantité interne quasi continue »(Dehaene, 1997 p. 83).
PREMIEREMENT - La "seule explication concévable" devrait avant tout se ténir au phénomène,lequel de même n'a pas lieu dans la savane, de même n'est pas un épisode de "neuro-science fiction" où UN CERVEAU - sans un homme autour de lui - "appréhende le nombre"
DEUXIEMEMENT - Cette explication est incompatible avec des phénomèenes arithmétiques comme les critères de divisibilité et l' épreuve par neuf, car si l’identité quantitative d’un nombre coïncidait avec la taille de la quantité que nous lui faisons correspondre un phénomène comme l’épreuve par neuf serait impossible. :
812 x457=371.084 Epreuve par neuf: 812=8+1+2 = 11 = 1+1 = 2 457=4+5+7 = 16 =1+6 = 7 7 fois 2 =14=1+4=5 371084= 3+7+1+8+4 = 23= 2+3 = 5
Il est évident que dans l’épreuve par neuf d’une multiplication, nous exécutons des additions entre les nombres qui composent ses deux facteurs, au sein desquelles la taille des quantités numériques concernées n’a aucune importance. En effet, si l’opération d’addition indiquée par le symbole « + » signalait en tant que telle le phénomène d’un entassement, l’addition des nombres 8,1,2 qui – selon un rapport certainement additionnel – composent la quantité 812, donnerait comme résultat une quantité plus importante que l’addition des nombres 4,5,7 qui selon ce même rapport composent la quantité 457, tandis que ceci n’est pas le cas. L’addition de contrôle 8+1+2=11, 1+1=2 donne un résultat inférieur au résultat de l’ addition de contrôle 4+5+7=16 , 1+6=7, malgré le fait que 812 est supérieur à 457 , et il faut reconnaître que la somme 8+1+2 au sein de 812 et la somme 4+5+7 au sein de 457, n’expriment pas le phénomène de deux accumulations donnant lieu à deux masses numériques matériellement existantes. En général donc, l’ identité quantitative qui régit les interactions opératoires entre les nombres 0,1,2,3,4,5,6,7,8,9 est efficace en deçà de tout phénomène de taille que ces mêmes nombres peuvent éventuellement véhiculer.
Ceci jette une lumière importante sur ce qu'à présent s'appelle le "infant's understanding of counting", et qui a étét observé pour la première fois par Piaget
Le phénomène dont Dehaene parle est donc irréductiblement celui d'UN ENFANT qui est en train de lire , et un enfant n'est ni un homme primitif , ni un cerveau, ni - nous allons le voir tout de suite - un singe.
.Le phénomène est: cet enfant qui est en trant de [apprendre à] lire, accède de la sorte aux symboles mathématiques 1,2,3... à savoir au « 1 » etc. en tant que signes/représentations capables de véhiculer l’ opération 1+1=2 et son évidence, à savoir l’énonciation explicite où implicite d’une vérité cathégorique universelle, qui pré-determine l’exclusion immédiate de toute affirmation contraire, telle 1+1=1.
Or, de même le fait temporel et matériel de la naissance de l’évidence mathématique devant l’apparat neuroperceptif d’un enfant pousse notre sensibilité évolutionniste à projeter sur ce phénomène un destin et une préhistoire onto/phylogénétiques et anatomique qui n’y appartiennent pas, de même la structure représentationnelle de ce même fait pousse à exprimer en termes de symboles et de foncteurs opératoires les racines présymboliques et prémathématiques des « tâches mentales » qui ne sont pas encore des opérations proprement dites.
On fait alors un usage très imprudent d’un symbolisme opératoire déjà déployé, pour montrer que tant des animaux que des bébés de notre espèce exécutent des « tâches mentales » évidemment liées à la quantité numérique abstraite.
Les mathématiques sont un système de signes universellement applicables, dans le sens ultime et incontournable que le signe 1 est 1 signe, et que les signes 1 et 2 sont 2 signes… car quoi qu’il en soit des objets – réels ou purement représentationnels – auxquels ils s’appliquent, les signes mathématiques essentiellement S'APPLIQUENT. Dès qu’ils apparaissent devant l’opérateur, les symboles mathématiques s’appliquent à eux-mêmes car ils s’appliquent d' eux mêmes, à tout.
Pourtant, universellement applicables ne signifie pas universellement disponibles, et le fait que le chercheur qui dispose du symbole 1 l’applique à 1 certain objet représentationnel, certianement visé par un être vivant (un singe etc.)qui montre d’accéder - car il l'applique - à ce que nous appelons le « 1 » ou « le nombre un », ne signifie pas que cet être vivant, lui-même, dispose de ce symbole pour accéder à sa propre représentation .
UN QUART de gâteau, donc, n’est donc pas par là même ¼ de gâteau , et lorsque le chercheur s’exprime ainsi, il n’utilise pas le symbole ¼ dans sons sens mathématique effectif.
La tâche du chimpanzé était simple : on le récompensait lorsqu’il choisissait, parmi deux objets, celui qui était physiquement identique à un troisième. Lorsqu’on lui présentait, par exemple, un verre à demi rempli d’un liquide bleuté, l’animal devait indiquer du doigt un autre verre également rempli à moitié , et le distinguer d’un troisième rempli aux trois quarts. Le chimpanzé maîtrisa immédiatement cette mise en correspondance sur la base de l’apparence physique On rendit alors sa tâche plus difficile. Peut-être lui présentait-on toujours un verre à moitié plein; mais il devait à présent choisir entre une demi-pomme ou trois quarts de pomme. Sur le plan de l’apparence visuelle, ces alternatives différaient tota¬lement de l’échantillon initial. Pourtant, le chimpanzé choisissait systématiquement la moitié de pomme. Il fondait apparemment sa réponse sur la similarité conceptuelle entre un demi-verre et une demi-pomme. L’expérience connut le même succès AVEC LES FRACTIONS ¼ , ½ et ¾ (Dehaene, 1997 p. 29)
Cette expérience nous fait accéder au système de représentations du singe à partir de son comportement extérieur. Dehaene parle ici de la «similarité conceptuelle» entre un demi-verre et une demi-pomme, et entre un quart de verre et un quart de gâteau, car il est indéniable que le chimpanzé dirige son comportement de choix à partir d’une représentation abstraite des grandeur numériques «une moitié» et «un quart »
Avec le segment que je place dans la bulle = le monde représentationnel du singe, je me borne à signaler, dire, énoncer la présence dans l'animal d’une représentation irréductiblement abstraite d’ un «quart» et d’une « moitié », car en tant que tel ce trait d'encre fait évidemment partie des objets concrets qu’on pourrait proposer à ce même singe à côté des verres et des gâteaux. Cette circonstance depend de la nature même de la grandeur numérique , qui tout en étant indéniablement présente dans "la bulle" du singe (dans son mode interne) résiste à toute tentative d'en donner des représentations qui ne soient que d’autres exemples concrets à côté des objets perçusà moins que nous ne prétendions que le singe sait lire dans sa propre bulle le symbole cryptogrammatique 1/4.
Or en mentionnant ce phénomène Dehaene s’exprime justement en disant que cette expérience «connut le même succès avec les fractions ¼ et ½ », et en ce sens il appliques les symboles numériques ¼ et ½ tant au monde concret des objets externes qui nous entourent - et qui entourent le singe - qu’au monde purement représentationnel et interne de l'animal. Aucune fraction n’est pourtant pas devant le chimpanzé , qui ne voit que des verres, des pommes et des gâteaux, et si le chimpanzé accède indéniablement à la représentation abstraite de la moitié, ici exemplifiée par un segment coupé en deux, avons-nous le droit de placer dans la bulle la fraction ½ à savoir de dire que lui-même il dispose des signes dont nous disposons ? Non, nous n’avons pas ce droit: pas plus que nous l’avons de mettre dans la bulle les mots « une moitié » et « un quart », en voulant signifier de la sorteque le singe est silencieusement en train de les prononcer en langage humain.
Nous ne pouvons pas dire que le singe a à faire avec des fractions, même s’il a certainement à faire avec des quantité abstraites. Voyons pourquoi.
Dans leur dernière expérience, Woodruff et Premack allèrent jusqu’à proposer au chimpanzé une combinaison de deux fractions. Lorsque l’échantillon comprenait un quart de pomme placé à côté d’un demi-verre de lait, et qu’on donnait à l’animal à choisir entre un cercle complet et trois quarts de cercle, l’animal optait pour ce dernier choix plus souvent que ne l’aurait prédit le hasard seul! Il effectuait donc une opération mentale comparable à l’addition de deux fractions : 1/4 + 1/2 = 3/4.
Considérons la suite I-II-III ci-dessous
En I nous avons en t1 les deux objets concrets perçus par le singe, et en t2 une partie de l’un et une partie de l’autre.
En II les deux premières perceptions concrètes (les deux objets) ont été transformés, par l'esprit du singe, en un seule représentation abstraite, et le rectangle rouge A (censé être dans la bulle du singe) ne représente pas un troisième objet concret mais le représentation symbolique unitaire de l’ « entier » qui dirige l’obtention des symboles des « parties » a , b et c.
En III le rectangle rouge A est devenu – suite à l'intervention de M. Dehaene – le symbole 1, le petit rectangle a est devenu le symbole ¼ , le rectangle b est devenu le symbole ½ et le rectacngle c est devenule symbole ¾ . Pourtant, même s’il est manifeste que nous pouvons appliquer les symboles des fractions ½, ¼ , ¾ au grandeurs a, b et c , la présence de ces mêmes grandeurs dans le système de représentations d’un singe capable d’accomplir ses tâches comportementales grâce à la représentation abstraite de la transformation mutuelle des rectangles A,a,b,c , ne signifie pas, en tant que telle, la présence représentationnelle des fractions ½, ¼ , ¾, car l’ exécution de l’opération mentale de fusionner des rectangles n’est pas l’opération d’addition entre deux fractions 1/4 + 1/2=3/4 . Ceci est évident : avec nos yeux mentaux, nous pouvons directement fusionner les rectangles a et b en en faisant c tandis que pour transformer ¼ et ½ en ¾ il nous faut passer par le calcul du commun dénominateur.
A la différence des deux rectangles rouges, les symboles ¼ et ½ nous obligent au passage encadré: la représentation cryptogrammatique d’un nombre impose les limitations opératoires des pairs, des impaires et des nombres premiers, qui n’existent pas au niveau de la représentation imaginative de la grandeur correspondante, dans laquelle nous passons immédiatement de la présence de deux parties à celle de leur totalité cumulative.
Une grandeur/partie donc, autant abstraite et autant nombrante qu’elle soit, n’est pas une fraction , et la "tâche mentale" de sa fusion avec une autre grandeur/partie, n’est pas une "opération mathématique" au sens propre. [cf. Les coupures des nombres]
1- PREMIERES RENCONTRES AVEC p
Comment les HOMMES DE LA PREHISTOIRE et de l'Antiquité ont-ils rencontré p ?
SANS DOUTE COMME NOUS , au détour d'un problème banal de bricolage, de jardinage ou d'artisanat : par exemple, lorsque nous cherchons à déterminer la longueur de corde nécessaire pour faire le tour d'un gros arbre , ou le coût du ruban qui décorera un chapeau ou un abatjour , ou le nombre de planches qu'il faut mettre côte à côte pour obtenir une barrique de rayon donné, ou la longueur du revêtement qu'il faut coller à la roue d'une charrette pour la protéger, ou la surface de sol que délimite un cercle tracé au cordeau, ou encore la quantité d'eau que contient un réservoir cylindrique, conique ou sphérique, etc. Ces exemples illustrent la plus merveilleuse propriété de p : il est là tout proche, partout avec son infinie profondeur mathématique . Même si nous n'aimons pas les mathématiques, même si nous cherchons à tout prix à les fuir, n nous rattrapera et elles avec. Nous ne choisissons pas de nous intéresser à p , c'est lui, que nous le voulions ou non, qui vient nous voir. Une fois qu'il s'est présenté, impossible de s'en défaire : il nous obsède et nous entraîne dans le monde fascinant de l'ordre géométrique et abstrait. [J.P.Delahaye - Le fascinant nombre p , Paris 1997]
[1]Georg Cantor, Beiträge zur Begründung der transfiniten Mengenlehre Berlin: 1895